Distrofia di Duchenne: dalle staminali alla terapia farmacologica
Intervista al Prof. Giulio COSSU, professore di Medicina Rigenerativa all'Università di Manchester.
Prof. Giulio COSSU |
Prof. COSSU, ex membro del Panel LS7 dell'European Research Council, del Committee for Advance Therapies dell'European Medical Agency. Direttore dal 2008 al 2011 della Divisione di Medicina rigenerativa del San Raffaele di Milano, la sua attività di ricerca riguarda lo sviluppo del muscolo scheletrico, le cellule staminali del mesoderma; ha sviluppato modelli pre-clinici di terapia cellulare per la distrofia muscolare e completato un primo trial clinico.
La Distrofia Muscolare di Duchenne (DMD) è una patologia genetica studiata per la prima volta da Guillaume Benjamin-Amand Duchenne (17 settembre 1806 - 15 settembre 1875), da cui prende il nome. la DMD è una malattia recessiva legata al cromosoma X, nella quale il danno muscolare è dovuto all'assenza completa della distrofina, una proteina fondamentale per la contrazione e la struttura della fibra muscolare.
Colpisce prevalentemente i maschi con un incidenza di 1/3.300 nati, le femmine sono di solito asintomatiche, se portatrici sane. La malattia è caratterizzata da atrofia e debolezza muscolare a progressione rapida, da degenerazione dei muscoli scheletrici, cardiaco e lisci, con esordio nella prima infanzia.
Professore, quali sono le avversità che ostacolano la strada per sconfiggere la distrofia di Duchenne?
Purtroppo la Duchenne è una malattia difficile da curare per vari motivi, iniziamo con il considerare che il muscolo, bersaglio di questa malattia, è il tessuto più abbondante dell'organismo umano, la sua struttura tridimensionale è complessa e di difficile raggiungimento da parte di vettori virali o cellule utilizzate nella terapia genica o cellulare. Altri tessuti specializzati come gli epiteli e il sangue, sono per la loro natura più facilmente trattabili con nuove terapie. Il secondo punto a sfavore è che nelle malattie genetiche, il processo degenerativo comincia prima del manifestarsi della patologia e finora, i primi pazienti che si sottopongono a studi clinici si trovano già in età avanzata, rispetto al periodo di insorgenza della malattia. Nel momento in cui entra in una sperimentazione clinica, il bambino ha già perso molto tessuto muscolare che è stato sostituito da tessuto fibroso, il che complica le possibilità di cura.
Il terzo problema è legato alle dimensioni del gene della distrofina, il prodotto del gene mutato nella Distrofia di Duchenne, che essendo molto grande, non può essere trasferito nelle cellule malate con i vettori virali oggi disponibili.
Quali sono le possibili soluzioni che si stanno cercando per bypassare questi problemi? Quali potrebbero essere delle alternative di cura?
Negli ultimi 20 anni ci sono stati enormi passi avanti nel definire delle potenziali cure per la Duchenne; siamo passati dal trattare il paziente esclusivamente con sedute di fisioterapia ad una terapia consolidata seppur palliativa a base di steroidi. Oggi si possono individuare almeno cinque possibili strategie di cura, grazie anche alla comprensione di meccanismi che portano alla degenerazione del muscolo.
Una prima strada da percorrere è la terapia cellulare che offre molteplici possibilità: in futuro con cellule staminali indotte alla pluripotenza (iPSC), partendo da fibroblasti (cellule della pelle), oggi con mioblasti (cellule progenitrici muscolari) o con mesangioblasti (cellule progenitrici associate ai vasi sanguigni).
In questo caso le cellule possono derivare dai pazienti stessi (ma necessitano di una correzione genetica in vitro) o da un donatore sano (immunologicamente compatibile), che un volta iniettate nel tessuto malato, riproducendosi, vanno a sostituire le cellule malate del muscolo con cellule sane che esprimono il gene corretto per la distrofina. Nel caso delle cellule del paziente stesso, la correzione genetica è un serio problema per le dimensioni del gene della distrofina.
Una possibile soluzione è rappresentata da uno studio avviato dal Prof. Mitsuo Oshimura, dell'Istituto
Prof. Mitsuo Oshimura Tottori Univesity - Japan |
La seconda strada è l'Exon-Skipping (salto dell'esone), una tecnica di biologia molecolare che agisce direttamente sul RNA messaggero, questa tecnica consiste nel saltare quella parte di gene difettosa (esone) e ricongiungere le porzioni adiacenti corrette, al fine di produrre una proteina più piccola, rispetto a quella che sarebbe normalmente prodotta in un soggetto sano, ma parzialmente funzionante, al fine di ridurre i danni della malattia. Questa è la strada più battuta finora, con molti studi clinici già effettuati, anche se risultati non sono ancora definitivi.
La terza strada è rappresentata dalla terapia genica, anche questa in due versioni "ex vivo" che usa cellule del paziente corrette in coltura (come detto su) ed "in vivo" in cui i vettori virali (principalmente del tipo Adeno-associato) veicolano il gene terapeutico, o strumenti genetici per riparare il gene endogeno o il suo prodotto direttamente nelle fibre muscolari. Anche qui la progressiva fibrosi del tessuto rappresenta una barriera ai virus e limita per ora l'efficacia del trattamento.
La quarta strada è rappresentata da nuovi farmaci o nuovo uso di farmaci disegnati per altre patologie che possono ridurre l'infiammazione e/o la conseguente fibrosi e migliorare le funzioni respiratorie e cardiache. Questi farmaci migliorano il quadro clinico del paziente, rallentando il decorso della malattia e danno più tempo alle altre terapie per poter agire con efficacia.
La quinta strada è rappresentata dal PTC124. L'EMA (Agenzia Europea del Farmaco) e anche l'AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), hanno autorizzato il TRANSLARNA (PTC124) per la distrofia nei bambini di età superiore ai 5 anni, il meccanismo di azione di questo farmaco prevede di saltare il codone di STOP prematuro, presente nelle cellule malate, causato dalla mutazione nonsense del DNA. Questo codone di stop prematuro nel mRNA causa la malattia interrompendo la traduzione prima della generazione di una proteina completa. Questo consente il "readthrough" ribosomiale dell'mRNA, consentendo in tal modo la produzione di una proteina completa.
a cura di
Claudio Pio Clemente
Enrico Speranza
Denise D'Orio
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