Il “Big Bang” dell’Alzheimer
Il morbo di Alzheimer è la forma più comune di
demenza, un termine generale che si riferisce alla perdita di memoria e di
altre abilità intellettuali talmente grave da interferire con la vita
quotidiana. Il morbo di Alzheimer rappresenta il 50-80% dei casi di demenza.
Questa condizione non rappresenta un normale
elemento dell’invecchiamento, anche se il massimo fattore di rischio
conosciuto è rappresentato dall’aumentare dell’età, e la maggior parte delle
persone affette dal morbo di Alzheimer hanno 65 e più anni. Tuttavia, il morbo
di Alzheimer non è solo una malattia della vecchiaia. Fino al 5 per cento delle
persone che soffrono di questa malattia riscontra un’insorgenza precoce del
morbo di Alzheimer (noto anche come “insorgenza anticipata”), che spesso appare
quando una persona ha tra i quaranta e cinquanta anni, o tra i cinquanta e
sessant’anni.
Due strutture anomale chiamate placche e grovigli
sono le principali sospettate del danneggiamento e dell’uccisione delle cellule
nervose.
Le placche sono depositi di un frammento
di proteina chiamata beta-amiloide, che si accumula negli spazi tra le cellule
nervose.
I grovigli sono
fibre contorte di un'altra proteina chiamata tau, che si accumula all'interno
delle cellule.
Anche se la maggior
parte delle persone sviluppa alcune placche e grovigli con l’età avanzata, chi
soffre del morbo di Alzheimer tende a svilupparne molti di più. Inoltre, essi
tendono a svilupparsi in un modello prevedibile, partendo da settori importanti
per la memoria, prima di diffondersi in altre regioni.
Gli scienziati non
sanno esattamente quale ruolo giochino le placche e i grovigli nel morbo di
Alzheimer. Molti esperti ritengono che essi, in qualche modo, abbiano un ruolo
fondamentale nel bloccare la comunicazione tra le cellule nervose e
nell’ostacolare i processi dei quali le cellule hanno bisogno per sopravvivere.
È la distruzione e la morte delle cellule nervose che
provoca mancanze di memoria, cambiamenti di personalità, problemi di
svolgimento delle attività quotidiane, nonché altri sintomi del morbo di
Alzheimer
Il Big Bang dell'Alzheimer: scoperto il momento d’inizio
della malattia
Identificato il “Big Bang” dell’Alzheimer. Si tratta del
momento preciso in cui la proteina tau si trasforma diventando pericolosa, ma
non ha ancora iniziato a congiungersi con altre proteine tau nel processo che
determina la formazione di grovigli nocivi nel cervello. A scoprirlo sono stati
gli scienziati statunitensi dell’University of Texas Southwestern Medical
Center di Dallas, dell’Università del Delaware di Newark e della Washington
University di St. Louis, coordinati da Mark I. Diamond, che afferma: “Forse
questa è la più grande scoperta che abbiamo compiuto fino ad oggi, anche se
probabilmente ci vorrà un po’ di tempo prima di applicarne i benefici nella
clinica. Questo cambia significativamente il modo in cui pensiamo al problema”.
Gli autori spiegano che la scoperta, pubblicata sulla
rivista eLife, contraddice la precedente convinzione che da sole le proteine
tau non siano dannose, e che lo diventino solo dopo aver iniziato a riunirsi
con le altre per formare i grovigli presenti nel cervello dei malati di
Alzheimer. Per verificare la validità di quest'ipotesi, gli scienziati hanno
osservato il comportamento di queste molecole dopo averle estratte dal cervello
umano e averle tenute isolate. Hanno così osservato che la versione dannosa
della proteina tau espone verso l’esterno una parte che normalmente è ripiegata
verso l'interno. Quest’area spinge la molecola ad aderire alle altre proteine
tau, consentendo la formazione dei grovigli che uccidono i neuroni. “Pensiamo a
questo momento come al Big Bang della patologia - afferma il dottor Diamond -.
Questo è un modo per osservare l'inizio del processo patologico. Ci porta
indietro fino a un punto riservato in cui è possibile vedere l'apparizione del
primo cambiamento molecolare che determina la neurodegenerazione
nell'Alzheimer”.
Secondo i ricercatori la scoperta offre una nuova strategia
per individuare la malattia nella sua fase iniziale, prima che i sintomi della
perdita della memoria e del declino cognitivo diventino evidenti. Per questo
motivo, gli esperti intendono lavorare alla realizzazione di un test clinico
che analizzi il sangue o il liquido spinale del paziente, per rilevare i primi
segni biologici delle anomalie delle proteine tau. Inoltre, reputano che i
risultati dello studio potrebbero favorire lo sviluppo di trattamenti capaci di
stabilizzare le proteine tau prima che cambino forma e comincino ad aderire
alle altre, in modo da impedire la progressione della malattia.
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