L’evoluzione del trattamento psichiatrico territoriale, dopo Basaglia e la Legge 180


Intervista a Maristella Buonsante
Psichiatra, psicologo, psicoterapeuta
Direttore del Centro di Salute Mentale di Bari – ASL BA

A cura di
Dr. Claudio Pio Clemente – ISTUD Business School

Prof. Maristella Buonsante
Il principale fautore dei movimenti per la chiusura dei manicomi alla fine degli anni ’60 fu il prof. Franco BASAGLIA, psichiatra e promotore della riforma psichiatrica in Italia. Egli si impegnò nel riorganizzare l’assistenza psichiatrica ospedaliera e territoriale proponendo il superamento della logica manicomiale con la chiusura dei manicomi e l’Istituzione dei Servizi di Igiene Mentale (SIM), che oggi si chiamano CSM (Centri di Salute Mentale) [2] [3]
Durante questa intervista abbiamo avuto l’opportunità di poter fare chiarezza su quelli che sono stati gli esiti di questa riforma e sulle prospettive future, grazie alla illuminante guida della Prof. Maristella Buonsante, Direttore del Centro di Salute Mentale di Bari.
Secondo i dati OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), le percentuali di morbilità psichica si aggirano attorno al 30% e una persona su tre potrebbe essere curata per problemi psichiatrici. La legge 180 si focalizza sulla chiusura delle strutture manicomiali e questo è giusto, perché la rivoluzione concettuale si basa sul fatto che il manicomio – come ribadisce Maristella Buonsante – prima di essere un luogo fisico, è un topos, un luogo della mente, il luogo dove per millenni abbiamo voluto chiudere in recinto tutto quello che in qualche modo esulava dalle esperienze accettate consensualmente in quella certa epoca storica e in quel certo contesto [8]
“Basaglia si inserisce in un percorso di pensiero sulla Psiche che parte da Delfi – Conosci te stesso – e continua poi idealmente con tutti i filosofi che si sono occupati di liberazione dell’uomo, dalle stesse catene della sua logica. Come l’icona stessa della psichiatria, l’acquaforte di Pinel che libera le pazienti della Salpêtrière dalle catene, ben illustra come metafora concreta della liberazione dalla malattia mentale, dalle catene, dall’affettività distorta o semplicemente, come nella definizione di salute mentale, nella difficoltà di sviluppare per intero le capacità che ogni essere umano ha”.

“Noi abbiamo immensi giacimenti di intelletto e di genio perduti, perché molti nascono e muoiono in aree sperdute senza mai sapere di possedere un altissimo quoziente intellettivo e noi perdiamo per sempre la possibilità di utilizzare queste risorse intellettuali. È mia ferma opinione che anche per questo forse, senza un approccio etico ai problemi di questo mondo, non si arrivi a un reale Progresso. Tutti i popoli hanno ricevuto forti sviluppi quando hanno sviluppato una forte etica. ) In Occidente, nonostante tutto, abbiamo una legislazione che protegge i deboli più che in ogni altra parte del mondo! In quanto psichiatra so che ci sono forze potenti dentro di noi che ci puniscono quando noi ci comportiamo male! In qualche modo siamo usciti dalle caverne e abbiamo sviluppato un’etica che rispetta i deboli e i diversi. Tra questi, in primis, le persone che soffrono non nel soma ma nella Psiche” [13]
“Prima di Basaglia c’è stata dunque la liberazione da parte di Pinel dei pazienti della Salpêtrière dalle catene, ciò che nel mio modello di psicoterapia chiamo una “metafora concreta”, ovvero una metafora che non è solo concettuale ma appunto concreta, visiva, come se fosse una fotografia. [9] [10].
Nel caso della Salpêtrière, l’immagine anticipa la liberazione umana dalle catene psichiche. Spesso le metafore concrete hanno un valore anticipatorio”[11]

“lo scopo più nobile della psichiatria dunque è liberare gli esseri umani dalle loro stesse catene. Catene annodate non solo dal contesto ma anche da ognuno di noi. Come metodologia uso quella di trovare i paradossi logici dove ciascuno di noi si è perduto, dei loop che imprigionano. Ad esempio nell’anoressia - dove per mia osservazione c’è spesso un problema di somiglianza fisica tra madre e figlia, dunque di identità “mangiata” dalla madre, si vede molto bene il paradosso di fondo (in questo caso è obbedire disobbedendo) del vomitare e del mangiare, mangiare che significa obbedire alla madre e vomitare che significa disobbedire. Il dilemma è “assomigliare o non assomigliare”. Spesso solo ingrassando o dimagrendo molto rispetto alla madre ci si allontana da questa pericolosa fusione identitaria, in cui la figlia sente che la madre “mangia” la sua identità, resa fragile proprio dalla banale somiglianza. L’aspetto fisico, come in genere il corpo, è il grande rimosso della storia della psichiatria”.

“Dopo Pinel, abbiamo avuto questo grande, Franco Basaglia, che ha osato il grande passo di comprendere che quello che accadeva nei manicomi di tutto il mondo era una vergogna; lo era e lo è, perché in gran parte del mondo la psichiatria continua ad essere una pratica di torturatori. In Italia negli ultimi 20 anni, con grande fatica siamo riusciti a non tornare indietro, però è salita al potere una classe di psichiatri burocrati, grigi, ragionieri, misuratori, quando non vere e proprie mezze maniche”.
“Basaglia ha avuto questa forza enorme di riuscire a far passare una legge il cui vantaggio più evidente è stato quello di poter assicurare finalmente al Paese una rete di Servizi territoriali che garantiscono l’assistenza psichiatrica ai cittadini. Basti pensare che il manicomio di Bisceglie (Bari), Il secondo più grande d’Italia, assisteva massimo cinquemila persone nel periodo più florido, un numero irrisorio rispetto alla reale necessità di cura. Due soli manicomi in Puglia! È evidente che non ha solo messo le basi per la chiusura di una delle pratiche millenarie più odiose, ovvero condannare alla reclusione le persone più indifese nel momento della loro massima debolezza psichica, della massima angoscia e perdita di identità, ma siamo entrati nella pratica medica, al pari delle altre specialità.”

“Certo vi sono e vi sono state persone che in queste situazioni hanno sviluppato reazioni di “animale ferito”, evidenziate dalla presenza di certe reazioni violente che, comunque, riguardano una piccolissima percentuale di pazienti, oppure individui che hanno maturato come difesa la paranoia, la catatonia o forme ancora più destrutturate. Come accade comunque nelle istituzioni totali che producono follia. Si legga Foucault e tanto può bastare.”[17]
“Il Topos del manicomio vedeva la malattia psichiatrica come una malattia infettiva, ergo il paziente andava isolato. In realtà, cosi come le idee possono guarire, le idee possono far ammalare, nonostante la logica dell’isolamento manicomiale fosse anche quella di poter mettere i pazienti al sicuro dal mondo. L’idea del manicomio è un’idea pericolosa e letale. È l’idea che infetta, il manicomio è la sua metafora concreta, con il triste corteo di contenzioni, violenza, alienazione, furto d’identità.”[8] [9] [13]

Philipe Pinel libera gli alienati dalle catene

Grazie a Basaglia, l’assistenza psichiatrica entra a far parte della medicina, in Italia parte il movimento di Liberazione dal Manicomio. Come ha accolto, dal punto di vista professionale e metodologico, la riforma Basaglia?

“Basaglia è stato il primo al mondo a chiudere i manicomi; sono felice di aver dedicato la mia vita a questo obiettivo ambizioso ed entusiasmante che mi ha spinto a lottare in favore della legge 180. Però non basta chiudere i manicomi, bisogna saper curare la gente senza scaricare tutto sulla famiglia o sugli Operatori questo è stato il mio obiettivo, lo sviluppo di una teoria-prassi di psichiatria territoriale, innesto su più tronchi disciplinari e concettuali (), partendo da una differente concezione del territorio rispetto all’ottica basagliana tradizionale, ovvero il territorio non solo geografico, o come domicilio, o casa, del paziente ma il territorio come spazio delle sue relazioni [5], [6].
La Metodologia che ho seguito e poi insegnato ad allievi ed operatori – e forse anche ai pazienti- in questi 40 anni, è una metodologia che prevede un approccio alla malattia mentale di costruzione di contesto terapeutico (Buonsante 1991, [6] in cui occorre per curare costruire date condizioni di contesto [4]. Che le letture dei contesti siano a livello sociale o in chiave biologica o psicoanalitica della storia e dell’infanzia del paziente, o persino sistemico relazionale (uno degli innesti forti), tutte queste letture se ritenute esaustive sono monodimensionali, non riproducono la complessità del campo di cui parliamo. Vorremmo dare risposte semplici a problemi complessi, di cui ogni sfaccettatura richiede paradigmi e prassi differenti. Ecco che negli anni ’90 mi sono posta questo interrogativo: noi non possiamo curare con un solo intervento lineare ma dobbiamo avere un approccio multidimensionale, come ad esempio prendere in analisi la biologia, l’infanzia e il contesto sociale del soggetto, dimensioni di grande rilievo che possono riguardare anche il soggetto da altri punti di vista che variano. [11]
Noi abbiamo una nuvola di variabili che possono riguardare i soggetti da differenti punti di vista, più è facile sciogliere i nodi che sono quelli delle famose catene logiche, perché nodi e catene sono sinonimi. E ho messo in pratica il mio approccio multilivello [11] (ma questa terminologia è successiva, anche se è poi la direzione che abbiamo preso, sul tronco moriniano), avendo la fortuna di un piccolo territorio della città dove ho costruito la Sede, in Via Pasubio (1991), la cui stessa pianta scandisce una prassi multilivello nell’assistenza.
L’innesto segreto è stata la Terapia famigliare, applicata su larghissima scala sul territorio già dal 1981. [5] [6] Spiego bene questo in un lavoro del 1991 (“a Living -in...) [7] dove scrivo anche dell’applicazione delle teorie sistemico relazionali nelle “Case” Alloggio, nelle strutture residenziali psichiatriche, in cui ho concettualizzato, per l’ACLI EPASSS, ente storico in Puglia, metodologia e formazione degli Operatori [7]

Qual è stato il suo personale approccio alla legge 180?
“Quando si parla di disturbo psichico si parla di tante cose che vanno dalla A alla Z, noi abbiamo costruito un modello per i pazienti gravi negli ultimi 40 anni insieme ai miei colleghi più avveduti e rivoluzionari. Nel 1991 ho scelto di stare sul campo della psichiatria territoriale, ero nel board delle più piccola e più aggressiva Società Italiana di Psicoterapia Relazionale e avrei potuto fare altre scelte di vita professionale. Ma non ho voluto farle, ho preferito rimanere in trincea a combattere sia contro le istituzioni che per le istituzioni, sia contro gli operatori che per gli operatori, e per i pazienti e persino, a volte, anche contro i pazienti. Non inseguo il modello del consenso universale, cerco di trovare una strada e di portare in qualche modo delle persone in salvo. Mio padre era chirurgo, mia nonna Stella curava con le erbe e a me è toccato questo destino, in terza generazione di curatori.”

La legge 180 ha portato una evoluzione /rivoluzione nell’approccio alla malattia mentale. Ci sono ancora aspetti che andrebbero approfonditi?
“Ora mi sta a cuore un nuovo modello di edilizia psichiatrica residenziale, in cui sviluppo il concetto, seguendo Le Corbusier, il gruppo Bauhaus, e soprattutto Ariès [1], di psico-design (2012). Con il mio “Progetto Bauhaus”, [14] l’idea è quella di fornire uno spazio che sia anche in sé terapeutico al paziente-ospite, diverso dagli attuali, caratterizzati da un assoluto anonimato, con stanze di solito a due letti, prive di ogni riferimento della vita del paziente, della sua storia, dei suoi interessi, della sua famiglia, di ciò con cui piace svegliarci al mattino e addormentarci alla sera. Per me lo psico-design si realizza quando lo stesso sistema di oggetti utilizzati nell’arredamento sono in relazione tra loro, come connessi da fili della storia del paziente. [15] [16]. Ma come illustrato dal Poster “Dall'Isolamento all'iperconnessione” del 2014, è previsto uno schema di co-housing a ventaglio (utilizzai negli anni ’80 questa metafora in una delle prime delibere applicative regionali e aziendali della legge 180 in Puglia), individualizzato, con reperibilità di uno Psichiatra e un’equipe che varia il suo modulo di assistenza -il numero di ore e il tipo di operatori -secondo le autonomie dei pazienti, ma sempre con uno “spazio” fisso di animazione: far cinema, reading, far discutere ...”. Come in un club turistico.
Ora mi sta a cuore un nuovo modello di edilizia psichiatrica residenziale, in cui sviluppo il concetto, seguendo Le Corbusier, il gruppo Bauhaus, e soprattutto Aries [1] di psico-design [14] [15] [16]. Con il progetto Bauhaus, l’idea è quella di fornire uno spazio che sia anche in se' terapeutico al paziente-ospite, diverso dagli attuali, caratterizzati da un assoluto anonimato, con stanze di solito a due letti, prive di ogni riferimento della vita del paziente, della sua storia, dei suoi interessi, della sua famiglia, di cio' con cui ci piace svegliarci al mattino e addormentarsi alla stera. Per me si segue lo psico design e' quando lo stesso sistema di oggetti utilizzati nell'arredamento sono in relazione tra loro, come connessi da fili della storia del paziente. Ma come illustrato dal poster del 2014, e' previsto uno schema a ventaglio (utilizzai negli Anni Ottanta questa metafora in una delle prime delibere applicative regionali e aziendali della legge 180 in Puglia), con reperibilita' di uno psichiatra, un'equipe che varia il suo modulo di assistenza secondo le autonomie dei pazienti, ma uno spazio fisso di animazione, come in un club turistico.
Con l’aiuto della domotica si può assicurare la sicurezza degli ospiti. Con questo modello di edilizia residenziale -psichiatrica ma non solo – in co housing, caratterizzata dunque da parti in comune che permettono di stare con altri quando uno lo desidera ma anche comodi e soli, in un monovano che e' “casa” e non uno squallido alloggio dove dormire, magari per molti anni, con uno sconosciuto, ipotizzo si possano evitare i due estremi, ovvero l’isolamento e l’iperconnessione, cioè essere cosi connessi di continuo al punto tale che non si riesce mai ad avere uno spazio per il proprio mondo interiore. Negli anni abbiamo fatto un errore epistemologico: aver sbilanciato troppo sulla necessita' di connessione, sul ristabilire una rete di relazioni, dunque ri-territorializzarsi, come parte identitaria, perché l’isolamento andava vinto e sembrava il nodo del problema manicomiale (o anche la “sepoltura” in casa, così frequente). Ma abbiamo dimenticato che certo nel manicomio l'unico spazio isolato consentito era murarsi nel proprio mondo interiore. Dunque dobbiamo recuperare l'oscillazione tra isolamento -che significa anche riuscire a stare soli, nel proprio mondo- - e connessione. In modo analogo, nel test di Roscharch, l'ambiegualita' – la copresenza di elementi di extratensivi con quelli introversivi- definisce chi alterna così e concilia estroversione e introversione. Se dunque non diamo ad una persona la capacità di ricucire e ricucirsi nel proprio mondo interiore, in uno spazio terapeutico che' e' un topos, difficilmente possiamo fare un lavoro di restauro del sé che è anche il restauro di questo puzzle complicato che sono le varie identità di una persona [17] [19]


Bibliografia:
  1. Ariès P. – “Centuries of Childood” et al
  2. Basaglia F. "Appunti di psichiatria istituzionale, in Recenti Progressi in Medicine", vol. 46, nº 5, maggio 1969, pp. 486–506,
  3. Basaglia F., Scritti vol., 1953-1968. "Dalla psichiatria fenomenologica all'Esperienza di Gorizia" Einaudi ed
  4. Buonsante M. "Interventi domiciliari in situazioni di crisi" in "Le prospettive relazionali nelle istituzioni e nei servizi territoriali" a cura di S.Lupoi, A. De Francisci, C Angolari - Masson Editori Milano 1985
  5. Buonsante M. "I centri di igiene Mentale in Puglia" Salute 4, 5, 1984
  6. Bateson G. "Verso un’ecologia della mente", Adelphi 1981
  7. Buonsante M. - "A living-in Community for Adolescents: a Systemic Methodology for Training and Management" Ann.Ist.Super.Sanità Vol.2, N2 (1992), pp. 253-256, 1992
  8. Buonsante M. "La costruzione di un contesto terapeutico in un Servizio Psichiatrico Territoriale", in Psicoterapia oltre : i modelli relazionali nei diversi contesti, a cura di M.Buonsante at Al. ,SIPPR, 1994
  9. Buonsante M. (con De Giacomo P., Fornaro M.) Un caso di anoressia tardiva trattato con psicoterapia interattiva breve, Neurologia, Psichiatria e Scienze umane, XII, 5, 1993
  10. Buonsante M. "La metafora concreta patogena: una nuova ipotesi di lavoro". Atti del III Congresso Internazionale della Società Italiana di Psicologia e Psicoterapia Relazionale "Famiglia, continuità, affetti e trasformazioni", Sanremo 1994
  11. Buonsante M. (con Facchi E.) “Vorrei volare alle Haway: intervento multimediale nella crisi psicotica acuta” in Genitori e Figli: la salute mentale nelle relazioni familiari Atti SIPPR, Taormina 
  12. Buonsante M. (con De Giacomo P., Pierri G. Santoni Rugiu A., Vadruccio F., Zavoianni L.), “Schizophrenia: a study comparing a family therapy group following a paradoxical model plus psychodrugs and a group treated by conventional clinical approach” in Acta Psychiatrica Scandinavica 1997.
  13. Buonsante M. "La psiche al tempo della precarietà", in Senza paracadute, (Adda, 2012)
  14. Buonsante M. in “Bianco a colori” (Brava Casa Indonesia, Corriere.it, Brava Casa Italia 2013)
  15. Buonsante M. sullo Psico-design http://living.corriere.it/case/new-classic/navigli-due-piani-401282944453/ 2013 e “Una casetta sui Navigli “ in stampa
  16. Buonsante M ( con E. Rubino e O. De Palma) Poster: "Progetto Bauhaus", presentato al Festival della Salute Mentale, Bari 2014 e al Festival dell'Architettura, Bari 2015 https://www.youtube.com/watch?v=IIFaI0XiFbM
  17. Buonsante Maristella at Al. - “Verso un restauro conservativo dell’identità. Analisi della costruzione del contesto psico-riabilitativo territoriale” (in corso di stampa)
  18. Foucault M. " Storia della follia nell'età classica", Rizzoli 1963
  19. Tanzarella E. – “Il restauro dell’identità ‘territoriale’ nel servizio pubblico psichiatrico: verso un modello di intervento” (Tesi di Laurea) (relatore: Maristella Buonsante), 2013

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